Il mondo sta male, le persone stanno male, tutto è sul negativo, c’è uno stato di svuotamento e l’aria è malata. Questo crea un profondo senso di vuoto e di angoscia e c’è dolore. Le persone vengono a parlare delle loro sofferenze e quando si trovano le parole giuste, la sofferenza si allevia. Trovare la parola è fondamentale, magnifico. La parola giusta è importante perché, se disposta nel modo giusto, allevia il dolore. Le parole sono angeli che scendono per consolare e a portare amore.
Le persone vengono perché la loro sofferenza è “Vuoto”.
Ma cos’è il vuoto e come si colloca? Dove si radica? Arrivano portando il loro vuoto, come se avvertissero in me, in noi, il richiamo di quel vuoto, se non ci fosse il vuoto in me e in noi, non verrebbero.
Fibonacci portò il numero arabo “0” Zifr, che significa “Vuoto”, il numero vuoto, lo zero, che contiene tutti i numeri, che deve riempirli, che è il prolegomena dell’inizio e di tutti gli archetipi.
Dunque il nostro vuoto già contiene il tutto e dobbiamo ogni giorno far morire vecchie parti dell’Io che sono obsolete e sostituirle con ciò che arriva: un nuovo principio della coscienza, un nuovo numero.
Le persone hanno bisogno dunque di attaccarsi a qualcosa, anche al vuoto, vuoto con vuoto, hanno bisogno cioè di entrare in contatto con due parole, due angeli: “Coagulatio” (coagulazione, cristallizzazione) e “Solve” (dissoluzione, sciogliere).
Nella Coagulatio c’è il rapprendersi, il diventare solidi, cioè stare nella vita, nel proprio tempo. Ma alla coagulatio segue il solve, la dissolutio, ovverosia quando le cose si separano e si sciolgono perdendo la definizione e il contatto con il reale.
Il solve et coagula sono inscindibili e a sua volta creano la rubefactio che permette alla bellezza della vita di mostrarsi.
Occorre quindi imparare a stare nel qui ed ora, uscire dalla Hybris, l’arroganza dell’orgoglio del sapere, del conoscere senza ascoltare la persona che c’è davanti a noi, considerarsi terapeuta, cioè colui che sa, attaccati al modello, alle tecniche, ai libri, agli schemi… occorre immaginarsi al lavoro nella propria stanza come uno scultore nel suo Atelier, che con la creta che gli viene portata modella l’anima smembrata della persona sofferente. Occorre uscire dalla fantasia terapeutica di “Io sto curando la sua psiche, Io sono il suo analista-terapeuta, Io interpreto i suoi sogni, Io vedo e consiglio ciò che deve fare” occorre Ri-vedere tutto questo e rendersi conto che non ha a che fare con la terapia e che la terapia vera è una forma d’arte.
Il terapeuta come artista. E nella stanza ci sono solo due persone che lavorano con il materiale psichico, si osserva il materiale e si lavora con esso.
In questo modo si entra nell’Intensificazione del Vivere e si passa dal rapporto terapeuta-paziente della terapia al fare anima. Così la tela vuota portata dalla persona si colora con il disegno che l’anima stessa ci sussurra per l’esistere.
di Giovanni Gocci
Discorso di apertura agli allievi Terapeuti di una Scuola di Specializzazione in Psicoterapia 14 gennaio 2012