Il nostro mondo di oggi è pervaso dalla paura. “Ho paura di…” è l’inizio di frase pronunciato sempre più spesso, come se in noi fosse nato il piacere della paura che da un unico fantasma è ora diventato paura di tutto: paura di salire in treno, paura di navigare, paura di luoghi chiusi, paura del direttore, del professore, paura di non farcela ad andare avanti, paura del nucleare, paura della morte, paura delle malattie, paura del Corona virus. In particolare il Virus riscuote l’interesse della massa che inconsciamente desidera “La grande paura” come un Messia che libera dalle paure del vivere quotidiano che ormai è diventato consueto, banale, ritmico, senza fantasia. Allora questa grande paura diventa una nuova Apocalisse a cui aggrapparsi per risvegliare il vivere. Se ci risvegliamo alla vita si ritorna mortali e il concetto di morte ritorna ad assumere il suo vero significato di opposto alla vita e che da senso al vivere.
E’proprio il concetto di morte che è mutato. Con il progredire della scienza medica e delle norme collettive, la morte è stata messa sotto controllo e l’uomo ha imparato che muore perché si ammala disimparando quello che gli antichi conoscevano da sempre; che ci si ammala perché si deve morire. La forma più importante che assume questa lotta contro la malattia è quella della sopravvivenza, cioè la lotta della vita contro la morte. La sopravvivenza diventa così un vero dovere del vivente e questa illusione resta vitale perché la lotta ha successo e la morte viene spostata nel tempo: si continua a vivere finché non si muore. Così l’uomo non vive nel presente bensì spostato nel futuro e questo gli crea angoscia e tensione. Da quanto ci risulta gli animali non vivono come noi con la paura costante della malattia o della malattia per contatto e della morte perché vivono nel presente. Ma noi non siamo animali, anche se la parte inconscia di noi ha una sua componente nella parte animale. L’uomo ha fatto e fa della morte il grande spauracchio e i sentimenti individuali su di essa sono condizionati da atteggiamenti sociali.
Una volta la morte, anche se prematura, non era considerata una malattia ma il fine naturale della vita umana, naturale come il cadere delle foglie ingiallite in autunno. Oggi tutto avviene sotto l’incubo della morte, dalla nascita alla morte stessa. Il partorire non è più un evento spontaneo e naturale come quello delle donne nelle società primitive che si accucciavano e mentre lavoravano nei campi partorivano, mordevano il cordone ombelicale, fasciavano il bambino e continuavano il loro lavoro. Per fortuna adesso c’è il ritorno al parto naturale dove le doglie sono considerate “tensione” e il parto non è più una malattia.
Con tutto questo non voglio dire che non dobbiamo temere la morte, anzi far sopprimere la paura della morte la fa sembrare ancora più forte. Si tratta solo di sapere se l’Io e le cose, che ora sono esistenti, finiranno. Purtroppo oggi abbiamo a che fare con una morte che non è più quella naturale e insensata che obbedisce alle leggi della natura, bensì una nuova morte, quella che si scambia tra i componenti di un gruppo. Abbiamo perso la capacità di trattare la morte perché prima questa avveniva sotto lo sguardo di tutti, quotidianamente, con un vero e proprio rito di dolore, oggi tutto è affidato al clinico ed al sociale istitutivo, per cui si muore perché ci si ammala e lentamente tutto si è ingigantito fino a vivere inflazionati dalla fobia della malattia e della morte, impedendo così il vivere naturale. Questo è diventato un problema del nostro tempo, la dimensione conscia troppo spinta con una lucidità e razionalità quasi artificiale, una vera inflazione. Il nostro tempo che sfrutta sempre di più il mistero della materia per i propri fini facendo si che la materia si vendichi con le catastrofi naturali o sotto forma di malattie come il Covid-19.
Ora questa morte assume un carattere di “grande paura” perché si diffonde nell’aria come gli effetti di Chernobyl o nella società attraverso il Corona virus. Le morti per contagio da Corona virus ripropongono la morte non come l’evento naturale opposto alla vita, bensì come qualche cosa a cui la vita è continuamente esposta.
Questa morte nuova, questo contagio per contatto crea una nuova malattia che si chiama “isolamento e paura del contatto” ed è diventata così divorante che impedisce ogni e qualunque tipo di comunicazione impedendo così la circolazione dei rapporti. Dal punto di vista psicologico tutto questo impedisce il processo di individuazione e cioè la spinta potente a realizzare tutto il potenziale nella realizzazione di tutti gli elementi, strati, parti, che si trovano nell’individuo. Come ho detto viene impedito questo processo perché avviene il ritiro dell’integrazione con il collettivo – sociale e senza il collettivo, senza l’altro TU non avviene il gioco degli scambi positivi e proiettivi con le situazioni, coinvolgimenti e reazioni emozionali sottostanti. A lungo andare questo ritiro produce un mutamento dello stato di coscienza e conduce alla chiusura totale dentro un themenos (recinto sacro) dentro il quale esisterà l’uomo: una crisalide chiusa dentro un bozzolo che non conosce la luce dell’incontro, il senso dell’esistere dell’incontro dell’IO con il TU.
Il Covid-19 rappresenta tutto questo, la circolazione sociale della morte che percorre gli stessi itinerari della vita e la morte non è più un evento naturale opposto ma ciò che si incontra percorrendo il cammino del vivere. La ragnatela finisce così per catturare il ragno, l’individuo non può passeggiare tranquillo per le strade e i parchi, né sedersi tranquillo su una spiaggia, i suoi amici sono diventati nemici perché di fatto il sospetto e la paura li ha resi “portatori”.
Occorre ritornare al senso simbolico e chiedersi che cosa è la vita e che cosa è la morte, che cosa è la grande paura di fronte a questa malattia per poter recuperare il senso del morire non perché l’organo si esaurisce ma perché la morte è l’opposto della vita e da il senso alla vita stessa. Solo così non siamo più separati dal nostro corpo e dalla intera rete delle forze in cui il corpo nasce e vive.
La nuova immagine dell’uomo è allora l’universo nella luce e nel buio, nei corpi e nello spazio.
Per concludere mi piace riportare i versi di J. Broughton:
Questo è esso
e io sono esso
e tu sei esso
e così è quello
e egli è esso
e ella è esso
ed esso è esso
e quello è quello.