Autunno e Primavera

Tutto era fermo, immobile, neppure un soffio di vento.
Il cielo era grigio e la luce sembrava non riuscisse a filtrare l’aria. Si respirava un odore d’immobilità. Gli alberi erano ricoperti dei colori d’autunno: sembrava che il dio si avvicinasse a lunghi passi per far addormentare la natura. Solo Lui, il cavaliere antico, sopra il suo cavallo si muoveva in cerca di non-so-cosa.
Aveva combattuto molte battaglie, espugnato molti castelli, ucciso molti draghi: ora, stanco di questo cercare e combattere, voleva solo fermarsi e scoprire il suo vero volto.
Arrivò così vicino a quella che una volta era stata una sorgente d’acqua: lo si capiva dal solco lasciato sulla terra quando l’acqua si era ritirata. Accanto alla sorgente vide l’ingresso di una grotta, buia e fredda come l’inverno. Egli entrò e scoprì che dentro tutto era diverso. Gli apparve una grande sala scolpita nella roccia: era di forma circolare e la volta era una cupola: sembrava il cielo di notte. Vi erano dipinte le stelle e i pianeti.
Le pareti erano affrescate e divise in quattro parti e ogni parte rappresentava una scena. Nella prima, si poteva vedere la nascita di un bambino e il suo battesimo; nella seconda, il passaggio dal bambino all’adolescente e il suo diventare uomo; nella terza erano rappresentati la maturità e le battaglie della vita; la quarta era vuota, con la parete completamente bianca, quasi aspettasse di essere dipinta e poter così raccontare l’ultima storia. Il pavimento era di marmi colorati raffiguranti strani disegni: c’era un quadrato cìrcoscritto in un cerchio, il tutto racchiuso dentro un triangolo equilatero. Nel centro del disegno era raffigurato un giardino con al centro un piccolo Budda.
Questo disegno occupava tutta la sala, quindi era un enorme cerchio il cui centro si trovava in perfetto asse verticale
con il centro della volta del cielo stellato, dove erano disegnati un sole e una luna.
Il cavaliere provò una strana sensazione di pace: si spogliò della corazza e rimase nudo. Mentre faceva questo sentiva che stava rinunciando a tutto ciò in cui aveva creduto.
La sua vita passò di fronte ai suoi occhi come il lampo che squarcia la tempesta e capì che aveva combattuto e cercato fuori da se stesso. Il drago, il demone, il Dio erano tutti dentro di lui; il fuoco, su cui ardere e sciogliersi, era in lui. Guardò il suo corpo e lo vide per la prima volta allo zenit: non si era accorto che metà della vita l’aveva trascorsa a cercare ciò che si spostava ogni volta che c’era vicino. Questo era il luogo dove fermarsi. Posò le vesti al centro, depose la spada e, nudo, si piegò su se stesso. Si addormentò, accarezzato dalla mano pietosa del Dio che manda il sonno, e cominciò a sognare.
Sognò che camminava scalzo, vestito da un saio da contadino, lungo un sentiero in salita. Era l’alba di un giorno di primavera, l’aria era tiepida e la rugiada mattutina risplendeva di tante luci diamantine sui fiori, sulle piante, sulla natura. Egli camminava come se cercasse qualche cosa che non sapeva cosa fosse, ma che comunque avrebbe trovato.
Così, dopo un lungo cammino, si trovò sbarrato il sentiero da un ostacolo: era un’enorme tigre, che, silenziosa, l’attendeva. Cosa poteva fare, solo e senza un’arma? Una voce da dentro gli suggerì di parlare con l’animale. Così fece e parlò alla tigre: “Tigre dal bel manto rigato e lucente, io sono un povero pellegrino alla ricerca della conoscenza, dentro di me c’è paura ma anche un gran bisogno di andare avanti. Ti prego di farmi passare, in nome della libertà della vita che tu ben conosci. In cambio, ti cavalcherò, se vorrai”. La tigre sembrò capire, perché si mosse e si sdraiò ai suoi piedi. Egli salì e la cavalcò lungo il sentiero. Ora era lei, domata, che lo guidava.
Ma, ecco, ancora un ostacolo porsi di fronte a lui. Il sentiero finiva sotto una grande parete rocciosa, in un ingresso, dove poteva passare solo un bambino. Egli si sdraiò e si mise a camminare carponi, a strisciare nel buio di un cunicolo con sopra la testa un’immensa montagna rocciosa. Continuò a scivolare, ignaro delle ferite prodotte sul corpo dallo stretto cunicolo roccioso, fino a quando, d’improvviso, arrivò una luce ed egli fu subito fuori dalla montagna in un gran prato verde. Ora la strada era più facile e più luminosa. Durante il cammino incontrò una donna bellissima, come non aveva mai visto, che gli chiese di restare con lei: l’avrebbe fatto Re, sovrano di quel regno e immortale. Capì che quello era il terzo ostacolo per impedirgli il cammino. Chiuse gli occhi e corse finché ebbe fiato, poi, esausto, cadde a terra.
Quando riaprì gli occhi, si trovò di fronte a una porta di ferro, che impediva l’ingresso in quella che era la cima del sentiero. Cosa poteva fare? Non c’era possibilità alcuna di tornare indietro né di muoversi ai lati, perché il sentiero era diventato un ponte sospeso nel vuoto. Si concentrò sul suo cuore e capì che la porta era una porta senza porta, un miraggio. Allungò le braccia e fu dall’altra parte. Si trovò in una piccola oasi luminosa, piena di fiori e di piante: un giardino e nel centro uno strano uomo, seduto su di una pietra ricoperta da una pelle di tigre, vestito di una tunica gialla, che lo guardava sorridendo. Lo guardò negli occhi e vide che anche l’uomo stava sognando lui. Era lui che sognava o il sogno sognava lui?
A un certo punto, un vento freddo gli scosse le membra ed egli si svegliò sudato e tremante. Era ancora nel centro della caverna, ma quanto tempo era passato? Un attimo o un eternità?
Capì così che ciò che doveva cercare era rispondere alla richiesta che proveniva dal suo interno: devi solo essere ciò che sei e non apparire un altro.
Si vestì impaurito e scoprì che aveva il saio; corse fuori e notò la sorgente d’acqua che sgorgava dall’alto cadendo in un piccolo laghetto. Qui, seduta, vide una giovane donna dai lunghi capelli che beveva. La donna emanava una strana luce dorata, il suo corpo traspariva dalle vesti candide, sottile e flessuoso. Ella lo guardò e gli sorrise chiamandolo per nome. Allargò le braccia e lui le corse incontro stringendosi a lei in un caldo abbraccio d’amore. Lui e lei fusi insieme e la natura tutta esplose di vita e colori mentre la luce apparve. Dopo tanto tempo, per lui fu ” calore”.
Lui si chiamava Autunno, lei Primavera, così ritornò la vita.